Katia e Tonia, oggi vi faranno conoscere meglio un fumettista molto amato e apprezzato: Lorenzo Palloni. Siete pronti ad immergervi nelle sue parole? Partiamo!

Parlaci un po’ di te: chi sei e cosa fai?
Sono un fumettista a tutto tondo, nel senso che la mia vita è dedicata (quasi) esclusivamente al fumetto. È più un bisogno, che un lavoro. Poi sì, è anche un lavoro che prevede costanza e disciplina e che mi paga le bollette. Ma lo farei comunque. Racconto storie, principalmente a fumetti perché mi permettono un controllo assoluto sulla storia, un controllo relativo del tempo – che è una delle mie ossessioni – e la condivisione immediata di messaggi che ritengo importanti, nascosti in un intrattenimento pop. Sono autore unico, disegno per altri sceneggiatori, e scrivo per altri disegnatori. Ho vinto un paio di premi, insegno storytelling e sceneggiatura alle Scuole di Comics di Firenze e Reggio Emilia, mi alzo ogni mattina alle sette pensando alle tavole che devo fare e mi deludo continuamente, nonostante vada oltre i miei limiti. Ho trentatré anni, ho fatto una ventina di libri e so già che morirò insoddisfatto, come quando mi infilo sotto le coperte ogni sera e penso: “non hai fatto abbastanza, coglione”.
Come è nata la tua passione per i fumetti?
Nasce con i primi fumetti di supereroi della Marvel che mia mamma mi comprava in edicola. Avevo sette o forse otto anni. Il primo fu un numero dell’Uomo Ragno dove compariva Puma, un antagonista feroce e pericolosissimo, mentre Peter Parker e Mary Jane Watson stavano divorziando e Parker viveva in un bozzolo di tela appeso nella loro camera da letto. DeMatteis allo script, Bagley ai disegni. Un’oscurità fluida invadeva ogni vignetta, c’era un soffocante senso di animalesca fatalità e di inevitabile violenza che mi sconvolse: il fumetto non era qualcosa per bambini, ed in quel momento già sapevo cosa avrei fatto della mia vita. Nel primo tema in seconda elementare scrissi: “Farò la Scuola di Comics di Firenze e diventerò un fumettista”. Non ho mai fatto altro – né voluto farlo. A parte una lieve sbandata, finito il Liceo Classico, in cui pensai: “perché non diventare investigatore privato?” Mi ripresi, seguii la Strada, andò bene. Col senno di poi raccontavo anche all’asilo: lo stesso personaggio si ripeteva in più azioni nella stessa inquadratura, nel foglio che riempivo di disegni. Non c’erano i bordi delle vignette, né lo spazio bianco, ma fumetto era.

Oggi possiamo definire Lorenzo un “fiume in piena”: raccontaci i primi passi mossi nel mondo del fumetto fino a diventare Lorenzo Palloni, autore apprezzato in Italia e all’estero.
Importante è stato anche quello che non ho fatto nel mondo del fumetto: un Liceo che mi ha fatto appassionare a tutte le tipologie di storie – non solo i noir – e un’università che mi ha dato nuove prospettive sulla natura umana. Università che ho fatto in parallelo con la Comics di Firenze, dove ho avuto la fortuna di avere insegnanti importanti come Paul Karasik, Matteo Casali, Giuseppe di Bernardo, ma soprattutto mi ha fatto conoscere quelli che sarebbero stati i miei compagni di viaggio in Mammaiuto, ma che allora erano miei docenti. Con loro ho pubblicato la mia prima storia breve (scritta da Angelo Farinon) nell’antologico “Fascia Protetta”, uscito per Double Shot. Prima ancora ho cominciato a fare storie brevi per magazine regionali. Attraverso MySpace (RIP) e le conoscenze alla Comics sono riuscito a trovare altri lavoretti – ho fatto anche delle prove per Marvel Comics – che però non hanno portato a niente finché non è nata Mammaiuto, associazione culturale e collettivo, che mi ha ribaltato la vita e insegnato cos’è davvero Raccontare. Lì si è sbloccato qualcosa: ho fatto “Mooned”, che mi ha dato una bella botta di incoraggiamento; e casualmente pochi mesi dopo ho piazzato la mia prima storia per il mercato francese, “The Corner”, con i disegni di Andrea Settimo. Da allora lavoro su tre fronti: autore unico/sceneggiatore per la Francia; autore unico per l’autoproduzione con Mammaiuto; sceneggiatore per l’Italia (non solo per l’editoria, anche come freelance e collaboratore di Università su adattamenti scientifici). I primi passi non mi sembrano lontani, mi sembra sempre di essere a quel punto. Faccio questo lavoro da dieci anni, ma gli step professionali sono sempre quelli. Certo, ora conosco le dinamiche e sono più sicuro di me, ma una buona o cattiva storia non la fa un narratore esperto o un pivello. L’esperto ha più controllo, il pivello forse più cuore, l’importante è credere in cosa racconti. Sembra strano, ma ci credevo fin dall’inizio. È quasi mistico.

Ti aspettavi il successo che hai riscosso e continui a riscuotere?
Il successo è ben altro e non lo auguro a nessuno. Il volto di Zerocalcare in copertina che ha attirato così tante e immotivate critiche ne è la prova. Ligabue ai bei tempi chiedeva ai collaboratori “Com’è l’Ikea?” perché se ci metteva piede non respirava da quanto gli rompevano le palle. Grazie a Dio non ci arriverò mai nemmeno di striscio, ma mi piace il rispetto che ho guadagnato sul campo, facendo i fumetti che volevo, raccontando le storie che avevo bisogno di raccontare, rispettando tutti e mantenendo sempre la parola data. Tanto mi basta. Ma più nello specifico: no, non mi aspettavo di poter vivere di quello che racconto in maniera così completa, né che potesse piacere anche a livello di critica, né che prima o poi arrivassero premi. Una morale da qualche parte c’è, ma non so dire quale. Forse “fa quello che vuoi come se non avessi altro e da qualche parte arrivi”. Non ho mai voluto far parte del “mondo ordinario”, una vita inquadrata mi terrorizza, un lavoro canonico mi ucciderebbe, e non venendo da una famiglia abbiente (anzi, tutt’altro) mi sono sempre impegnato per starne lontano: o i fumetti o l’annientamento. Questo è l’unico successo che mi sembra di aver raggiunto.
Le tue opere sono diverse l’una dall’altra e una che ci ha particolarmente colpito è stata “La Lupa”. Nello specifico è stata la figura di Ginger a catturare la nostra attenzione, donna cazzuta e con gli attributi: a chi o cosa ti sei ispirato per realizzarla? A chi o cosa ti ispiri tendenzialmente?
Fatemi essere bacchettone per una volta nella vita: secondo me la Ginger è direbbe che “cazzuta” e “con gli attributi” sono termini maschilisti! Meglio non farla arrabbiare, la zia Ginger…! Ma sì, diciamo che la Ginger è una tosta, è una spartana, per lei spaccare la faccia a qualcuno è un atto tanto necessario quanto respirare: è la prammatica del suo lavoro. Recuperare crediti non deve essere una passeggiata e richiede una mancanza di empatia abbastanza importante. Nel caso della Ginger, mi sono ispirato a due cose: alla tenacia di mia madre, che ha sempre avuto un’importanza nevralgica per la mia famiglia e che mi ha insegnato ad affrontare ogni problema a muso duro; ad un documentario che vidi sul mondo sotterraneo della riscossione crediti, una branca del sottobosco criminale Italiano. Dovevo raccontare quel mondo, era carico di significato ed estremamente contemporaneo, visto la mancanza di empatia che stiamo vivendo e che ci affligge in maniera così profonda a livello sociale. E appunto: in generale mi ispiro al mondo che mi circonda, a qualche messaggio che voglio lanciare. Ogni volta è la stessa storia: c’è una miccia che mi si infiamma nella testa, e quello che esplode sono tutti gli strati di superficie che compongono la storia. Può essere una parola, una persona, un nuovo incontro, un evento. L’importante è che contenga un messaggio che la storia mi permetta di raccontare.
Sei un vulcano di idee, docente della Scuola Internazionale di Comics, autore, cofondatore dell’associazione culturale Mammaiuto: come fai a seguire tutti? Ci racconti il tuo superpotere nascosto?
Tanta cioccolata, tanto tè, tante mele verdi. E parallelamente tanta disciplina, una decisa abnegazione alla missione, e un’urgenza spinta per ogni singola storia che mi esce dalla testa. Non è mica così super, questo potere. È più una supernecessità unita ad una superossessione. Mi sento un pesce nell’acqua giusta, mi sento una persona molto fortunata e decisa a continuare ad esserlo.
Quest’anno niente Lucca per tutti, eppure la tua opera “Desolation Club” ha vinto il premio come miglior disegno: ti aspettavi questo importante riconoscimento?
Mi aspettavo almeno un riconoscimento per Vittoria, non questo in particolare. Ha fatto un lavoro impressionante, freschissimo, e che rimane fresco anche dopo venti volte che lo riguardi. E so che rimarrà fresco per anni a venire. Spero in altri riconoscimenti, perché Vittoria ha passato due anni e mezzo di fuoco, densissimi, completamente concentrata e focalizzata sui due libri di Desolation Club nonostante il turbine che era la sua vita in quel momento. Un sacco di cambiamenti che lei ha gestito contemporaneamente alla produzione del libro – il suo primo – con una professionalità da veterana. Si merita tutti i premi del settore, per quanto mi riguarda. E se non saranno per questo libro, se li mangerà col tempo. Tenetele gli occhi addosso e allacciatevi le cinture.

Ti identifichi un po’ con i personaggi presentati in Desolation?
Mi identifico un po’ con tutti. Si sa, un narratore usa sé stesso come benzina. Per Desolation non è stato diverso: c’è un pezzo di me in ognuno dei ragazzi che seguiamo. In Vikt ho messo il mio divertimento nel provocare il prossimo; in Waka il senso di responsabilità; in Pwa il senso di colpa; in Ibu la mia pignoleria; e in Bek la mia insicurezza. In generale, hanno una cosa in comune: vogliono essere liberi e casinisti. Forse Ibu è, segretamente, il mio preferito, perché pratico e pragmatico come mi piace essere, anche se poi spesso mi perdo per strade ascetiche e mentali.
Cosa ti è mancato e cosa proprio no della fiera più importante d’Italia?
Le serate con i colleghi. I miei Mammaiuto, la mia famiglia dei fumetti. Dovete sapere che ogni anno prendiamo in affitto la stessa casa, ormai dal 2011, e per noi è una riunione di famiglia che dura cinque giorni. Ravazzani mette su l’acqua mentre la Giusy fa il soffritto. Poi due pentole diverse, una per la pasta normale, una per la pasta senza glutine (che senno Guarnaccia si sente male) e Checco apre il vino. Mi ha fatto male scrivere queste due righe sopra, sappiatelo. Mi mancheranno anche le prossime fiere. Mi mancherà soprattutto Angoulême. Mi mancano le feste. Mi manca lo strusciare spalla a spalla con una folla di ubriachi oscillanti cercando di non far cadere il vino mentre controlli se ti hanno rubato il portafoglio. Mi manca abbracciare il Guarna a fine fiera e dire insieme “un’altro grande festival!” Che male.
Un pregio e un difetto dell’essere fumettista?
Il pregio: le due estremità della professione, ovvero l’immensa solitudine da una parte, opposta all’immensa socialità festaiola dall’altra. Mi trovo a mio agio in maniera sorprendente con entrambi gli aspetti. Una volta che sai che c’è un festival all’orizzonte, hai un punto d’arrivo, dai tutto te stesso perché tanto sai che ti sfogherai in quelle feste là, quindi sopporti meglio lavoro e solitudine. Il difetto: i tempi morti uniti alla lentezza di produzione. Il fumetto è uno dei medium più lenti del mondo, per quanto uno sia rapido ci sono dei passaggi tecnici che ti costringono a tenere la testa bassa e sottometterti al giogo del tempo. Fortuna che sono un po’ più veloce della media, sennò mi sparerei.
Fumetto preferito?
Banalissimo: “Watchmen”. Ma c’è tutto, lì dentro. La logica e il calore e il dramma e l’insensatezza della vita e l’abolizione di ogni pensiero manicheo. Penso fosse uno dei primi fumetti che ho comprato con i miei soldi, mi ha spaccato il cervello a metà. Un altro dei punti fissi che mi ha fatto dire: “ehi, questo è Fumetto. Fallo anche te, più forte che puoi. Sarà una vita spesa bene”.

In chiusura: progetti futuri?
Troppi. Ho scritto un “Dylan Dog Color Fest” speciale, su richiesta di Roberto Recchioni, tre storie brevi: una la disegna Lorenzo Nuti, l’altra Alessandra Marsili, con cui sono al lavoro anche su un giallo con i pirati per Ankama Editions che si intitola “L’ignobile Shermann”. La terza storia breve la disegno io ed è abbastanza pazzesco pensare che sono al lavoro su Dylan Dog. Poi sto disegnando un maxi romanzo storico a fumetti sulle rivolte razziali a Los Angeles che ho iniziato a scrivere nel 2008, “Burn Baby Burn”, per Sarbacane Editions. Una lettera per il progetto “Apri”. Poi ho da finire la seconda metà di “Delusi dalla Preda”, il mio nuovo libro per Mammaiuto. Tutta questa roba esce l’anno prossimo: centinaia di pagine. Ho anche un sacco di storie brevi da continuare. Ah, e nuovo progetto in cui è coinvolta Vittoria Macioci, che non è un fumetto. Capite che intendo con “troppi”?
Un’ultima cosa e finalmente sei libero: faresti uno sketch veloce a Katia e Tonia?
No….Scherzo! Et voilà.(Grazie per le domande – molto belle – e per l’ospitalità.)
