Parlaci un po’ di te: chi sei e cosa fai?
Eh! Andrea Mutti, classe ’73, anche se dimostro 10anni in meno! Fumetto di ferro!
Racconto storie… e qui ci tengo a dirlo: non sono uno che disegna e basta!
Ci racconti come è nata la tua passione per i fumetti e come poi si è trasformata in professione?
È nata nel salotto di mio zio Guido, accanito lettore… Passavo le giornate ad ammirare quelle mensole colme di avventure straordinarie: ho cominciato da lì, leggevo a 5 anni e viaggiavo già tra le vignette e, soprattutto, lo spazio bianco tra una e l’altra: è lì dove tutto succede!
Dalla passione per il disegno e l’avventura: mi facevo da solo i fumetti, dalla cover alla rilegatura e li distribuivo in classe… devo averne ancora qualche copia da qualche parte…
Al liceo i primi approcci alle fanzine (mitiche!) e poi ho cominciato una collaborazione con un settimanale di Mantova, ero in 4a superiore, facevo strisce umoristiche e mini storie a fumetti. Mi pagavano (anche bene devo dire!) e considero quello il mio “inizio”. Da lì non mi sono più fermato, sono ancora in viaggio…
Hai collaborato con importanti case editrici italiane, come Sergio Bonelli Editore e Edizioni Star Comics: ci racconti le tue esperienze e soprattutto cosa ti hanno lasciato?
Star Comics fu il vero primo grande salto nel mondo dei fumetti big. Fino ad allora, erano i primi anni novanta, avevo collaborato con etichette indipendenti come Fenix, Intrepido… brevi storie horror o sci-fi, mentre la Star annoverava già titoli straordinari come Lazarus Ledd, del compianto amico Ade Capone, e tutto l’universo Marvel e Image…e molto altro, s’intende!
Ho cominciato con Lazarus dove, insieme al gruppo dei famigerati Bresciani, ci si è davvero divertiti.
Ade fu un vero mentore e una persona squisita, gli devo molto e ricordo con affetto l’anno prima che scomparve: a Lucca ci fermammo a chiacchierare con la promessa di fare una cosa insieme… Ade era uno che vedeva davvero avanti, nulla da dire.
Poi, sempre con la Star ci fu la breve ma intensissima avventura spaziale di HAMMER, prodotto tutto made in Brescia che, nonostante sia durato solo 13 numeri, impresse nella memoria dei lettori qualcosa di indelebile…rimane un ricordo forte e molto creativo, con riunioni davvero belle e accese nello studio in centro a Brescia, con la chiusura in bellezza “aperitivo da Frank” in corso Garibaldi!
Mentre scrivo da migliaia di miglia di distanza mi fa ancora più effetto, come il riverbero di un ricordo lontano e intenso, una carezza nella tempesta dei ricordi che riserbo nel cuore.
Con la Bonelli fu, invece, una storia di amore incompreso: quando Hammer chiuse, la ci presero in blocco a noi bresciani, e per me, che avevo 20 anni (!!) fu un un passaggio straordinario, soprattutto emotivamente. Ero cresciuto con i loro albi e i miei “idoli” erano tutti lì. Ora n facevo parte, ero nella scuderia. Per chi mi conosce, sa il io entusiasmo e la mia passione, la voglia di mettermi in gioco e di imparare: ero pronto, entusiasta, elettrizzato…
In un primo tempo, tutto davvero bene, poi qualcosa si inceppò… mi sentivo spaesato, non riuscivo a “inserirmi”, se mi passate i termine calcistico. Forse ero troppo giovane ed entusiasta o forse non ho trovato le persone giuste. Ho dei bei ricordi anche lì naturalmente, ma dal mero punto di vista artistico mi stavo involvendo. Dopo circa 9 anni il rapporto è finito ed è cominciata una nuova era. Rimane quindi un pizzico di amarezza ma anche la voglia di, un giorno magari, tornare a fare qualcosa con la Bonelli…
Rimane, comunque, un grande baluardo!
In particolare nel 1995 sei entrato a far parte della squadra di Nathan Never: sei mai riuscito a disegnare un Nathan tutto tuo?
Se intendi a scriverlo e disegnarlo, purtroppo no… mi stai dando un’idea…
Sono molto affezionato a NN, com’è ovvio.
Secondo te la squadra tutta bresciana che ha creato Hammer è una cosa ancora fattibile, oppure il lavoro di gruppo oramai ha preso una dimensione così cosmopolita che non è più immaginabile un’esperienza simile?
Mmh… bella domanda… non saprei.
Di sicuro esistono ancora team creativi solidi e molto longevi e produttivi. Pensa a Brubaker e Phillips, Snyder e Capullo…
Un team così ampio, non saprei, ma non vedo perché no. Tutto dipende dal progetto e dal suo respiro.
Oggi il fumetto è un po’ cambiato, sia dal punto di vista narrativo, sia organizzativo. Il mercato è diverso, ma io sono sempre convinto che quando uno ci crede, può fare qualcosa di davvero buono!
Che non significa per forza avere un successo editoriale, ma un successo personale, qualcosa di avventuroso che si porterà con sé per tutta la vita. Questa è la magia del nostro lavoro.
Dai confini nazionali ben presto sei approdato in terra Americana, dove hai lavorato per le più importanti realtà editoriali: quanto è stata fondamentale questa cosa per il tuo percorso di formazione?
Beh… qui il salto fu davvero enorme: “È il respiro profondo prima del balzo” (J.R.R. Tolkien, cit.)
Devo dire che gli USA, con il loro mercato e il loro modo di raccontare mi hanno entusiasmato da subito. Forse era la primissima volta dove mi sentivo libero, assolutamente, di essere me stesso. Questo è un dettaglio fondamentale, e non per velleità artistiche, ma per una semplice questione di comunicazione visiva: riuscire ad esprimerti e a sviluppare stili che nemmeno sapevi di possedere, raccontare cose nel tuo modo rimanendo sempre lettore entusiasta.
Cosa differenzia il mondo del fumetto italiano da quello americano?
Innanzitutto hai la possibilità di sperimentare cose diversissime. Hai a che fare con le icone dei super eroi e passi poi a raccontare la guerra d’Indipendenza Americana passando per Star Wars, Tomb Raider, Alien, X-Men e Batman, giusto per citarne alcuni, e tutti questi passaggi ti arricchiscono professionalmente, umanamente e stilisticamente.
Gli americani poi sono sempre entusiasti, posso dire che sono rimasti ancorati al “sense of wonder” di questo mestiere, sanno scrivere cose strepitose e di grande impatto civile o sociale, ma nell’insieme rimangono fedeli all’entertainment, consci che devono intrattenere, stupire, divertire e far sognare il lettore.
Poi tutto quello che viene dopo ci può stare, ma è sempre alta l’emozione dell’ultima luce in sala che si spegne prima dello spettacolo. Mi sono trovato davvero sempre benissimo e, senza nemmeno saperlo, ho sviluppato stili completamente diversi fra loro. Questa mia duttilità e versatilità mi hanno permesso davvero di raccontare ogni tipo di storia, e ogni volta è come la prima volta.
Ricordo che il mio primo lavoro U.S.A. fu Iron Man. A Mantova incontrai C.B. Cebulski, che vide il mio portfolio. Mi chiamò poche settimane dopo e di lì è cominciata. Inutile dirvi che la presenza ai vari show americani è davvero uno show: potrei passare ore a raccontarvi i vari NYCC e le cene, le colazioni e i party in città… catapultato nel comicdom del fumetto Americano, con le sue luci e le sue ombre.
Insomma, una bella emozione.
Sei un fumettista a tutto tondo: a chi o cosa ti ispiri?
Dal punto di vista professionale sono un lettore accanito e ogni disegnatore mi ispira! Andare in fumetteria è un rito.
Non sono uno di quelli che guarda se stesso, non l’ho mai fatto e mai lo farò. In casa ho appese tavole di altri autori, non le me. La vita reale poi è la mia fonte primaria: luci, ombre, colori… è tutto là fuori, basta osservare.
Faccio molte foto e quando posso (molto spesso perché è una grande scusa per viaggiare, cosa che adoro!) vado sul posto per documentarmi: scatto un sacco di foto, voglio che quel luogo diventi il Mio Luogo, e il luogo dei lettori quando leggono il libro.
La più bella soddisfazione è sentirsi dire “che bel libro!”, non “che bei disegni!”: il libro, quello conta, la sua completezza la sua coralità. Detto ciò, ogni momento è fonte di ispirazione.
Oggi, dove vivo, il luogo è talmente potente che disegnerei 12 ore al giorno. C’è una luce pazzesca, dei colori così vividi che ti sembra di essere su un set cinematografico!
A noi puoi confidarlo: qual è il segreto del tuo successo?
Se ne avessi uno, non ve lo direi! Ma se dovessi dire qualcosa, senza il rischio di suonare retorico, credo che rimanere un lettore sia la via giusta non perdere mai l’orizzonte, non sovrastimare situazioni e non nutrire il proprio ego con illusioni inutili e meschine. In america si dice “think big, but stay real”… ecco, this is the way! Non mollare mai, rimanere appassionati e umili, non sentirsi arrivati. Arrivati dove poi…? Mah… Rimanere entusiasti e capaci di essere sorpresi.
Detesto quando sento colleghi dire “non leggo i fumetti, sono troppo impegnato a farli…”, mi assale un senso di tristezza assoluto e di solito questi sono quelli autoreferenziali, che copiano sempre loro stessi. Che noia…
Oppure quelli che aprono un fumetto e lo avvicinano subito agli occhi per vedere qui e lì: questo lo si deve fare DOPO! Prima lascia che il fumetto ti coinvolga, che ti porti con sé, che ti accompagni per un pezzo di via …poi puoi concederti alle finezze tecniche.
Rimango un romantico.
Un pregio e un difetto dell’essere fumettista?
Non timbri il cartellino, ma ogni contratto è una lotta. Oggi poi…
Fumetto preferito?
Ken Parker
Qual è il supereroe a cui sei più affezionato?
BATMAN!
La cosa più incredibile che ti è capitato fare nella vita?
Dover scappare da un branco di squali toro alle Florida Keys a causa di un ca*** di “esperto in immersioni”.
Hai anche contributo alla creazione della Graphic Art Collection dei film cult Universal: che ruolo riveste il cinema nella tua vita?
Ahhhhh!!! Quanto mi mancaaaaaaaaaaa!!! Amore totale!
Anche qui sono un romantico di ferro: guardo qualsiasi genere, il cinema è un aspetto della mia vita che mi ha sempre accompagnato, sin da piccino.
Una sala cinematografica super hi-tech o un drive-in, hanno per me la stessa emozione: vado sempre oltre il tecnicismo, trattengo l’emozione dell’attesa, le luci in sala, i trailer… Il cinema è tutto questo, anche trovare parcheggio fuori dalla sala.
Qui in città c’è un vecchio cinema gestito degli amish. Un postaccio, ma mi ricorda i vecchi cinema di Brescia che ormai sono chiusi da anni. C’è un odore di popcorn insopportabile e le sedie sono tutte sghembe, ma quell’atmosfera nostalgica è senza prezzo.
In chiusura: progetti per il futuro?
Lista lunghetta! Sono in uscita due progetti a colori diretti, uno con Cullen Bunn e Dark Horse, e l’altro con Elliot Kalan e Aftershock. Ne seguiranno molti, sempre con colori diretti! Sono davvero felice di questa nuova avventura che mi riporta al colore diretto: adoro gli acquarelli ed è stata una bella challenge! Non vedo l’ora di vedere la reazione dei lettori! Dal canto mio è a dir poco esaltante!
Ho poi in corso ancora un progetto con Aftershock, Comixology, Mad Cave, Vault e ancora Dark Horse… più altri di cui non posso ancora dire niente….
Un’ultima cosa e poi finalmente sei libero: lo faresti uno sketch per Katia e Tonia?
Se mi mandate un salame nostrano certo che sì!!
HAhAHhAh! …scherzo, ma certo!