Benvenuti al primo capitolo di una rubrica che accompagnerà la vostra permanenza tra le pagine web www.gamesacademy.it nei mesi a venire: “Oggi Conosciamo”.
Quando ci siamo trovati ad individuare chi potesse essere un buon primo candidato per sedersi ad un tavolo con noi a scambiare due chiacchere, abbiamo innanzitutto stabilito dei requisiti.
Doveva essere una individualità inerente al settore, aperto al dialogo, interessante nei contenuti e nell’esposizione, possibilmente divertente … il nome di Fiorenzo Delle Rupi, storico traduttore di D&D ed altri Giochi di Ruolo, ha fatto subito capolino nella mia mente.
Fortunatamente ha accettato di buon grado di raccontarsi come professionista e come appassionato, condividendo con noi aneddoti divertenti riguardanti la sua carriera lavorativa e consigli riservati ad eventuali aspiranti, traduttori e master, tra i nostri lettori.
La parola all’esperto:
Buongiorno Fiorenzo, innanzitutto grazie per il tempo concesso. Parlaci un po’ di te, cosa faceva il traduttore di D&D prima di arrivare a questa professione?
Ciao e grazie a voi dell’onore!
Dunque, ho bazzicato nell’ambito dell’anglofonia fin dagli albori, avendo conseguito la laurea in lingua e letteratura inglese a Perugia nel 1995 con una tesi proprio sul Signore degli Anelli di Tolkien. All’epoca i film non erano nemmeno nella mente di Dio, quindi dovetti faticare non poco a convincere il docente a darmi luce verde per l’impresa!.
Ad esso sono seguiti vari lavori di traduzione saltuari, qualche saggio sempre a tema Tolkieniano, e l’esperienza come docente presso un liceo linguistico, che ricordo con grande passione. Poi è giunta la chiamata di MM25, all’epoca “solo” 25 Edition.
La tua passione per il Gioco di Ruolo ha quindi incontrato la tua conoscenza dell’Inglese ed è stato amore a prima vista. Raccontaci l’inizio di questa love story.
Mossi i primi passi nel mondo del GdR attraverso il gioco di Star Wars, nella sua primigenia versione della West End Games. Ovviamente il materiale disponibile in italiano era limitatissimo e, per me, poco gratificante, così mi addentrai nel mondo della vastissima bibliografia in lingua sull’argomento. Poi, com’è tipico degli ambienti ludici, da cosa nasce cosa, e coloro a cui proponevo Star Wars in cambio mi proposero di provare Dungeons & Dragons… e luce fu!
Sei mai andato, a distanza di anni, a rileggerti le tue primissime traduzioni? Che effetto ti ha fatto?
Veramente non ci ho mai pensato, in effetti dovrei farlo! A naso, credo si possa ipotizzare che ci sia stato un percorso evolutivo simile a quello che seguono (o che dovrebbero seguire!) buona parte dei professionisti di questo settore, vale a dire la transizione da una traduzione aderente in ogni dettaglio al testo originale, ma quindi poco naturale in italiano, a un testo che pur rimanendo fedele all’inglese si sforza di usare costruzioni, modi di dire e termini più vicini all’italiano corrente.
Nel corso della tua carriera hai avuto modo di visionare molti Giochi di Ruolo e, tra di essi, varie edizioni differenti: quale di queste è stata la più piacevole da tradurre?
Non esagererei, al di là della (vastissima) esperienza di D&D non ho poi spaziato così tanto. A livello di gradimento, due sono i testi su cui è stato più bello lavorare: l’ambientazione di Dragonlance, che come per tanti appassionati di Fantasy occupa un posto speciale nei ricordi di gioventù, e che mi permetteva di reincontrare volti, eventi e sensazioni familiari a ogni pagina, e il manuale base del Signore degli Anelli. Purtroppo quella linea ebbe vita breve, ma anche in quel caso, dati i miei studi degli anni verdi sull’argomento, fu piacevole riconoscere ad occhio o addirittura anticipare la traduzione giusta di termini, personaggi e luoghi a colpo d’occhio! Quando al sistema di gioco migliore ho pochi dubbi, sono dichiaratamente tra i sostenitori della nuova Quarta Edizione di D&D! (NdR: Argomento trattato più avanti)
Quale è stato il più grande ostacolo che hai incontrato nella tua vita di traduttore? Raccontaci qualche aneddoto relativo agli adattamenti più complicati o ai concetti più “intraducibili” che ti sei trovato ad affrontare.
C’è un ostacolo generico, ma che purtroppo è intrinseco alla natura del prodotto e inevitabile, e cioè non avere sottomano l’ “opera” nella sua interezza. Mi riferisco ovviamente ai riferimenti a elementi che devono ancora uscire, e alla comparsa di pubblicazioni successive che cambiano le carte in tavola. Quando si tratta di dover improvvisare una traduzione di un termine che viene a malapena accennato senza avere ulteriori spiegazioni al riguardo, la paura di non cogliere il significato giusto c’è sempre, magari poi col rischio di vedersi smentiti due mesi dopo, quando uscirà altro materiale.
Ad esempio, all’epoca di Forgotten Realms 3a Edizione ci trovammo di fronte a una classe di prestigio che si chiamava “Divine Seeker”, e che decidemmo di chiamare “agente divino”, perché ci sembrava più elegante e aderiva bene alla descrizione di quel tipo di personaggio. Qualche mese dopo, ovviamente, in un altro supplemento, comparve la classe di prestigio del “Divine Agent”. Imprecando, ci mettemmo una toppa ripiegando su “Emissario divino”, e qualche mese dopo ancora, ecco comparire il “Divine Emissary”. Naturalmente col senno di poi non ci saremmo mai ficcati in questo roveto! Col tempo, ovviamente, si impara a non cadere in questi tranelli. All’uscita del primo Manuale del Giocatore della quarta edizione, i francesi hanno optato per tradurre il warlock con “stregone”, e seppur tentati, ci siamo astenuti dal farlo… immaginiamoci la loro “gioia” (e il nostro sollievo) nel momento in cui è uscito il Manuale del Giocatore 2 con relativo sorcerer!
Quanto al concetto “intraducibile” più divertente, ma non è opera nostra, l’ho trovato in Star Wars. In genere quando si lavora sulle ambientazioni ufficiali si cerca sempre di mantenere il massimo di aderenza possibile a quanto è già stato pubblicato a livello di romanzi e altre pubblicazioni, e con SW cercai di non fare eccezione. Imbattutomi nell’ “Outer Rim” della Galassia, acconsentii a usare la dicitura già usata in precedenza, vale a dire “Orlo Esterno”. Procedendo nel testo trovai però un “Inner Rim”, che per estensione avrebbe dovuto essere “Orlo Interno”, e già lì la mente vacillava, a meno che non immaginassimo la galassia come una ciambella anziché come un cerchio. Il colpo di grazia lo ebbi quando incontrai il “Middle Rim” e scoprii che circolava effettivamente la dicitura “orlo intermedio”. Di fronte alla tautologia di un *orlo* *intermedio* il cervello fece tilt, decisi di buttare via tutti gli orli e di andare con un sano “fascia interna, fascia esterna e fascia intermedia”!
Passo per passo siamo arrivati a quella che forse è la domanda più attesa dai lettori: cosa ne pensi della 4° edizione di D&D? Cosa guadagna il sistema di gioco dalle innovazione introdotte e di cosa invece si sente particolarmente la mancanza?
[Risata] Allora, quanto tempo-spazio abbiamo? Lo chiedo perché come tanti appassionati del settore ho partecipato a molte discussioni accese al riguardo! Come dicevo prima, sono un accanito sostenitore della Quarta Edizione, e lo dico prima di ogni altra cosa come DM e giocatore, avendo giocato a lungo anche alla 3° edizione nelle sue varie incarnazioni.
Ho gradito molto le innovazioni della 4E, vale a dire gli sforzi di rendere il gioco più scorrevole, lineare e gestibile. Secondo me è stato fatto un ottimo lavoro di riordino e di chiarificazione, e non parlo solo a livello di meccanismi di gioco, ma anche a livello di ambientazione (la ristrutturazione dei piani, l’ambientazione dei “fulcri luminosi”, molto più fruibile della mai ben definita ambientazione base della 3E). La critica che sento rivolgere più spesso alla 4E è che è troppo vicina a un gioco da tavolo o a un videogioco, e che ostacola la recitazione, ma io ho ricordi ancora molto vivi di certe sessioni di 3E in cui *un round* di combattimento durava anche tre quarti d’ora e si passavano minuti e minuti a sommare bonus e penalità di un singolo tiro del dado. Ecco, secondo me *quello* ammazzava l’interpretazione molto più di un sistema di combattimento videoludico o semplificato.
La verità è che gli incentivi all’interpretazione non te li regala nessun sistema di gioco, sono il DM e il giocatore a doverci mettere l’anima. La Quarta Edizione da questo punto di vista fa il massimo che è lecito chiedere a un sistema di gioco, vale a dire rendere le cose più lineari e scorrevoli dal punto di vista tecnico, per permettere al DM e ai giocatori di dedicare più pensieri, tempo ed energie ad altro, e questo lo trovo lodevolissimo.
Poi credo che ci sia anche una componente affettiva-emotiva: molti appassionati della 3E la adorano perché è quella con cui hanno giocato le avventure e le campagne più mirabolanti, e ci sono affezionati per questo motivo, e questo è un discorso che capisco.
Però il bello di D&D è anche il fatto che è un passatempo vivo, reale, in continua evoluzione, specialmente ora che i supporti tecnologici di internet permettono una vastissima circolazione di materiale, di esperienze e di contatti. Ad esempio a me affascinano molto iniziative come la campagna di Scales of War, messa a disposizione online dalla Wizards of the Coast, il database del D&D Insider, i vari programmi di costruzione dei personaggi, dei dungeon, e così via.
Sia il DM che i giocatori hanno a disposizione una miriade di opzioni e di strumenti che soltanto pochi anni fa era impossibile sognarsi, sia a livello di gioco che a livello di interazione con la community dei giocatori, e rinunciare a tutto questo per attaccamento al vecchio sistema lo troverei autolesionista. È come se mi fossi divertito un mondo a giocare al Fantacalcio nella stagione 2005-2006, e allora continuassi a giocare con le formazioni delle squadre di quell’anno anche gli anni successivi! I giochi evolvono, crescono, e secondo me, le occasioni di vivere avventure e di costruire campagne mirabolanti, ora sono assai più numerose e alla portata di tutti.
Quanto a ciò di cui si sente la mancanza, l’unica cosa di cui mi rammarico è che ogni ambientazione sia gestita in un solo volume. Trovo ottima l’idea di presentare un’ambientazione nuova ogni anno, e non dico che si dovesse tornare agli eccessi della 3E con decine e decine di supplementi soltanto su Forgotten Realms, ma anche se in maniera molto limitata, l’uscita di almeno un volumetto all’anno per arricchire i vari mondi di Forgotten Realms, Eberron, Dark Sun ecc. mi sarebbe piaciuta molto. Si avrebbe più l’impressione di un mondo vivo e in crescita, piuttosto che di un argomento aperto e chiuso nella stessa sede.
Riesci a darci qualche indiscrezione sulla linea Essentials? Niente che comprometta gli accordi contrattuali ovviamente, vogliamo rimanere con la coscienza a posto.
Sarebbe difficile violare un segreto che non sono nemmeno troppo sicuro di conoscere! La mia dimestichezza con la linea Essentials è ancora parziale, ci stiamo lavorando proprio in questi giorni, ma dalle impressioni che ho avuto potrei focalizzare tre concetti.
Il primo, è quello dell’ordine: tutto il materiale di gioco esistente è stato riorganizzato in maniera molto più
logica e consequenziale; la mia prima impressione è che la capacità di destreggiarsi di un utente all’interno di un libro degli Essentials sia agevolata di molto.
Il secondo è quello dell’aggiornamento: è stato fatto un lavoro omnicomprensivo per includere tutti gli aggiornamenti e le rifiniture alle regole che sono necessariamente affiorate nel corso degli anni, e che magari in Italia erano comparse solo sulla rete o non erano nemmeno arrivate.
Il terzo è quello della fruibilità: se prima per coinvolgere nuovi amici e giocatori mettevi loro in mano un Manuale del Giocatore a volte ottenevi uno sguardo di panico soltanto dopo le prime pagine di lettura; adesso gli Essentials sono veramente utilizzabili per interessare nuovi appassionati. Lo stile divulgativo della Scatola Rossa e dei Libri del Giocatore è ben concepito, si tratta di prodotti perfetti da passare o regalare a coloro che vorremmo fare iniziare a giocare.
Per l’ultima domanda vorremo rivolgerci al Fiorenzo “appassionato” più che al Fiorenzo “professionista”. Sappiamo che sei, tra le altre cose, anche un Dungeon Master attivo. Quali consigli potresti dare a chi, come te, si è imbarcato in questa avventura fatta di responsabilità verso i giocatori e vere soddisfazioni che solo un bravo “regista” può ottenere?
Uhm. Consigli è sempre dura darne, perché molto dipende dalla situazione contingente di ognuno. Posso dire tutt’al più quelli che col tempo ho imparato a definire come elementi importanti per me, a livello personale. Potrà sembrare l’uovo di Colombo, ma il 50% del lavoro va fatto prima di cominciare a giocare, e cioè nella formazione del gruppo di gioco. Avere giocatori a cui piace questo passatempo, desiderosi di giocare, fare crescere il personaggio e recitare è la cosa più importante, crea un terreno fertile e di reciproco stimolo che consente alla campagna di andare avanti e di fiorire da sé. Invece spesso capita di tirare dentro al gruppo giocatori per fare numero, gente che non sa che fare, o che viene soltanto per socializzare, o al seguito di altri amici e/o fidanzati/e. Non che ci sia nulla di male in sé, ma poi, passata la curiosità del momento, la presenza di giocatori svogliati o poco motivati al tavolo rischia di tarpare anche le migliori campagne, quindi è meglio chiedere un po’ di onestà e di impegno anzitempo.
Un’altra cosa importante credo che sia non tergiversare con sessioni “tappabuchi” o combattimenti fini a se stessi, slegati dalla trama portante della campagna o dai background dei giocatori. Quando un DM si trova davanti 30 livelli di gioco, è convinto di poterci far stare dentro di tutto e di più, ma in realtà si fa prestissimo a perdere molte sessioni dietro a una diramazione secondaria che non dice niente a nessuno. Questo non significa che sia necessario pilotare il gruppo su una trama blindata, ma semplicemente di “condire” le sessioni impreviste con qualche elemento di gioco riconducibile alla storia o ai personaggi. Se il gruppo fallisce la sfida di abilità nell’attraversare la giungla e quindi incappa in un combattimento con un mostro, è possibile giocare quel combattimento come una semplice conseguenza della prova di abilità fallita, ma è anche possibile abbinare a quell’incontro imprevisto un elemento narrativo pescato dalle trame attualmente in corso: magari tiene prigioniero un PNG scomparso, ha nello stomaco un oggetto che il mago cercava, o conosce informazioni su come entrare di nascosto nel tempio in questione… Insomma: mai scindere i combattimenti dalla storia! Oltre a questo, come sempre, resta solo la regola base: ricordarsi sempre che ci si siede a un tavolo di D&D per divertirsi e dare vita alle avventure tutti assieme.
Ringraziamo nuovamente Fiorenzo per averci concesso uno scorcio sulla sua personalità. Spero che leggere le risposte a queste domande sia stato piacevole per voi, almeno quanto lo è stato per me porle.
Nel salutarvi e darvi appuntamento al prossimo capitolo di “Oggi Conosciamo” vi ricordo che se tra voi c’è qualcuno che risponde alle caratteristiche elencate in cima all’articolo e disponibile a darci qualche risposta da condividere con tutti voi, non deve far altro che mandare una mail a edo@magicmarket.it
A presto,
Edoardo “Daermon” Dalla Via